TRIBUNALE PER I MINORENNI
Uno dei primi progetti volti ad istituire nel nostro Paese un giudice specializzato per i minori, risale all’11 Maggio 1908, quando il Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando (insigne giurista), con una circolare indirizzata a tutti gli Uffici Giudiziari del Regno, disponeva che in tutti i tribunali uno dei giudici si occupasse “in special modo” dei procedimenti contro imputati minorenni. Questa circolare imponeva al giudice di non limitarsi all’accertamento del fatto delittuoso nella sua materialità, ma di indagare sulla situazione personale e familiare del minore per poter valutare al meglio la responsabilità di questo e anche per poter esaminare la necessità di interventi nei confronti dei genitori in caso di loro trascuratezza o immoralità o comunque di ambiente familiare patogeno.
A tal proposito la circolare stimolava i Pubblici Ministeri a promuovere “con maggiore sollecitudine frequenza ed energia”, i procedimenti di controllo della patria potestà, ricordando loro che, il non farlo, sarebbe stata “grave colpa”. I giudici dovevano inoltre coordinarsi con la pubblica assistenza ed essere “in relazione continua con i dirigenti delle istituzioni che si interessano della protezione dell’infanzia”, per poter recuperare il minore. Le cause penali contro i minori dovevano essere curate “tutte e sempre “ dagli stessi giudici, possibilmente nei giorni in cui non c’erano processi contro adulti, e in orari “in cui meno frequentati siano i locali di giustizia”. “Insomma bisogna che l’azione penale rispetto ai minorenni, sebbene dolorosamente necessaria, non solo non riesca a renderne il cuore più tristo e a rafforzare l’avversione contro la legge e l’autorità, ma eserciti invece una efficacia spiritualmente benefica ispirando la persuasione della necessità della pena e del ravvedimento”. Tale circolare del ministro Orlando gettò le basi per una riforma ordinamentale che avrebbe generato per legge una apposita magistratura per i minorenni. Con decreto del 7 novembre 1909 fu istituita la Commissione Quarta, che prese il nome dal suo insigne presidente appunto il senatore Oronzo Quarta, che in tre anni (1912) elaborò il Codice dei Minorenni con l’intento di raccogliere “tutte le disposizioni delle varie leggi e dei vari regolamenti relativi ai minorenni”.
Nel 1934 fu istituito l’odierno Tribunale per i minorenni, organo collegiale, composto da 4 giudici, e giudiziario specializzato in grado di interpretare i comportamenti dei minori e le dinamiche familiari da cui scaturiscono. Ufficio questo che ha competenza in primo grado per tutti gli affari penali, civili e amministrativi riguardanti i minori degli anni 18. A partire dall’entrata in vigore del “Nuovo diritto di famiglia” nel 1975, le competenze del Tribunale per i minorenni si sono grandemente ampliate e modificate, in virtù del fatto che la sua funzione è la protezione della persona del minore in situazioni potenziali di pregiudizio o di abbandono. I provvedimenti conseguenti l’accertamento di tali situazioni possono limitare l’esercizio della responsabilità genitoriale.
La filiazione è il rapporto produttivo di particolari effetti giuridici, che intercorre tra una persona fisica ed i soggetti che l’hanno concepita o adottata. La legge 10/12/2012 n.219 ha unificato la condizione giuridica dei figli, a prescindere dal fatto che i genitori siano coniugati oppure no. Infatti dal 2 gennaio 2013 tutti i figli hanno lo stesso status : non ci sono più figli legittimi e naturali, ma solo figli. Questo principio di unicità dello status è sancito dal nuovo art. 315 c.c. secondo il quale “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (art.1 co.7), pertanto viene riconosciuta la parentela in ogni ordine e grado a prescindere dal matrimonio dei genitori (art.1 co. 3 e 4), viene abrogata la legittimazione (art.1 co.10), vengono disciplinati in modo unitario diritti e doveri tra genitori e figli (nuovo art. 315 bis, c.c.) (art.1 co. 8) e viene definita una nuova nozione di responsabilità genitoriale (art. 2, lett. h).
Il diritto di Filiazione ha avuto una svolta epocale con l’unificazione dello status di figlio che ha portato ad una netta separazione tra filiazione e matrimonio, grazie alla quale la condizione giuridica del figlio viene tutelata in ogni ordine di rapporti come valore autonomo e indipendente dal vincolo esistente tra i genitori, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i figli senza distinzione di nascita (art.3 Cost.), tutelando il preminente interesse del minore e realizzando il principio di responsabilità per la procreazione (art.30 Cost.). Pertanto l’uguaglianza tra diritti dei figli naturali e diritti dei figli della famigli legittima (art. 30 Cost.), può applicarsi non solo nella relazione verticale tra genitori e figli, ma anche in quella orizzontale con i parenti. La parentela dipende dalla generazione (o dall’adozione) e non dal matrimonio, pertanto quando la legge parla di “parenti” non è più consentito fare distinzioni, proprio questo ha determinato la scomparsa della legittimazione.
“NESSUNO PUÒ FARE PER I BAMBINI PICCOLI CIÒ CHE FANNO I NONNI. I NONNI COSPARGONO LA POLVERE DI STELLE SULLA VITA DEI BAMBINI.”
Questo il pensiero dello scrittore statunitense Alex Haley (autore del romanzo “Radici”), al quale da qualche tempo la legge ha cominciato ad “ispirarsi”. Infatti in passato l’Ordinamento italiano non prevedeva una norma che potesse garantire ai nonni il diritto di frequentare i propri nipoti e di assisterli nella crescita, ma ora la consapevolezza dell’importanza di questo legame ha spinto il legislatore ad intervenire per cercare di colmare questa “lacuna”. Infatti il matrimonio o una convivenza stabile, non comporta esclusivamente la nascita di un nuovo nucleo familiare composto da due persone, ma anche un’estensione dei rapporti familiari che, con l’arrivo dei figli, diventa ancora più intenso. I nonni rappresentano una risorsa insostituibile per il benessere dei bambini: li curano, permettendo ai genitori di lavorare serenamente sapendo di affidarli ad ottime mani; li amano immensamente e li “assistono” nel cammino della vita. In un Paese in cui si fa troppo poco per aiutare la famiglia nella gestione quotidiana dei figli, con asili a costi esorbitanti e sussidi quasi inesistenti, i nonni costituiscono una vera e propria ricchezza, un valore aggiunto.
La crisi e la rottura di un rapporto familiare, come nel caso di separazione, comportano principalmente delle conseguenze dirette nella sfera giuridica dei genitori e dei figli, ma non possono essere sottovalutati gli aspetti inerenti ai diritti degli ascendenti. Sempre più spesso il rapporto nonno/nipote viene minato dai litigi tra i genitori. Nonni e nipoti spesso affrontano come un disagio la lontananza dovuta alla separazione dei genitori, in quanto viene ad instaurarsi una vera e propria “guerra” che mette in contrapposizione due famiglie. Quando una coppia si separa, non pensa alle conseguenze che subiscono i bambini e i nonni che, inevitabilmente, verranno allontanati. Se poi, uno dei due partner decide di lasciare la città dove era residente con la famiglia per trasferirsi altrove, spezza un legame difficile da riallacciare. Il bambino non dispone di mezzi per poter ”contattare” autonomamente il nonno, e quest’ultimo di fronte all’opposizione dei genitori, non riesce ad avere alcuno scambio con il nipote.
I genitori, non sempre si rendono conto che, indipendentemente dal fallimento come coppia, si debba preservare l’equilibrio dei figli che trovano nei nonni un sostegno costante che non dovrebbe essere negato loro. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la recente sentenza 335/2017 del 31 maggio 2018, ha stabilito l’importanza che i nonni possano trascorrere del tempo con i nipoti, instaurando un rapporto fondamentale con loro sia nel presente sia in previsione futura. Allo stesso tempo, ha sanzionato l’Italia che, pur riconoscendo legislativamente questo diritto, non ha predisposto le congrue misure che fossero in grado di eseguirlo. Nello specifico una coppia di nonni bulgari decise di rivolgersi al Tribunale (che rinviava la questione alla Corte Europea) a causa della concreta impossibilità di incontrare la propria nipote, in seguito alla separazione dei genitori. La Corte Europea emise la sentenza del 20.01.2015, di portata epocale, che confermò il diritto dei nonni di frequentare la nipote, e allo stesso tempo sanzionò l’Italia, che aveva impedito la concreta realizzazione di quel diritto. La Corte ha confermato l’importanza del legame nonno/nipote derivante dalla consapevolezza che i nonni rappresentano delle figure insostituibili nella crescita e nell’educazione dei bambini.
Nell’Ordinamento italiano ci sono chiari segnali che convergono in questa direzione quali il nuovo art.315 bis c.c. che, oltre a disciplinare i rapporti tra genitori e figli, riconosce il diritto dei figli a mantenere rapporti significativi con i parenti. In questo modo garantisce l’interesse dei figli alla relazione con i nonni e gli altri familiari, favorendo la valorizzazione delle relazioni che contribuiscono ad arricchire la loro esperienza esistenziale. Parallelamente il nuovissimo articolo 317 bis c.c. (modificato con D.lgs. n. 154 del 28.12.2013 ), prevede che i nonni abbiano diritto a mantenere relazioni costanti con i propri nipoti. Lo stesso articolo stabilisce che, se questo diritto venisse negato, i nonni si possono rivolgere al tribunale competente per ottenere un provvedimento giuridico nell’interesse del bambino. Ai nonni viene riconosciuto il diritto di vedere i nipoti e agire in via giudiziale per il rispetto di tale diritto. L’art. 337 ter c.c. sancisce il diritto del minore di “conservare rapporti significativi con gli ascendenti “ anche in caso di crisi matrimoniale.
L’affidamento condiviso regola l’affido della prole e quindi l’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di cessazione di convivenza dei genitori, in modo che ciascun genitore sia responsabile in toto quando i figli sono con lui. Tale affidamento, introdotto con la legge n.54/2006, mira a dividere in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, non alterando la genitorialità di entrambi e soprattutto tutelando la relazione dei genitori con i figli. Tale legge stabilisce il “principio di bigenitorialità” ossia che la responsabilità genitoriale deve essere comune e quindi l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori, superando così la Legge sul divorzio ,risalente agli anni settanta, che con l’affidamento “congiunto ed alternato” prevedeva,invece, l’affido esclusivo dei figli a uno dei due genitori, ben lontana dal considerare l’affido ad entrambi la normale conseguenza della crisi coniugale. Attualmente in sede di separazione e divorzio la legge propone l’opzione tra affido condiviso ed esclusivo. Oggi con l’affido condiviso, i genitori hanno pari diritti ed obblighi : 1. la stessa ripartizione del tempo da trascorrere con il figlio, 2.la doppia residenza per il minore, 3.un paritario onere contributivo per il suo mantenimento. Il tempo da dedicare ai loro figli viene ripartito tra la madre ed il padre in parti uguali e questo vale, anche, per le decisioni inerenti la vita quotidiana e le questioni di ordine straordinario, nonché riguardo la contribuzione per il loro mantenimento. In questo modo i due genitori separati,possono organizzare la vita insieme ai loro figli, usufruendo degli stessi spazi temporali, senza che venga privilegiato l’uno rispetto all’altro. Tuttavia il minore può essere collocato prevalentemente presso uno dei genitori, con la possibilità di vederlo/tenerlo anche per l’altro. La Riforma prevede che il giudice della separazione o del divorzio stabilisca a carico di uno dei genitori, la corresponsione di un assegno periodico in favore dei figli. Tale assegno è quantificato tenendo conto delle esigenze della prole, delle risorse economiche dei genitori, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore. Esiste, quindi, uno stretto collegamento tra i tempi, le modalità della permanenza del minore presso ciascun genitore e la quantificazione del contributo di mantenimento. Di conseguenza, ad ogni possibile variazione dei tempi e della permanenza dei minori, deve corrispondere una modifica del contributo di mantenimento. Di recente, il Tribunale di Firenze, si è pronunciato sulle modalità di frequentazione tra genitori e figli, dando spazio all’ascolto delle volontà del minore che chiedeva il collocamento a settimane alterne presso ciascun genitore, al fine, anche, di poter coltivare e conservare un doppio sistema di amicizie. Ebbene, in questo caso, poiché il minore avrebbe vissuto a settimane alterne con l’uno o l’altro genitore, eccezionalmente, il Giudice stabiliva il contributo diretto da parte di ciascun genitore per il mantenimento del bambino. Secondo la riforma l’attribuzione della casa familiare risente dei tempi di permanenza dei minori presso l’uno e l’altro genitore. Infatti, dovendo il giudice seguire il criterio dell’interesse dei figli, l’assegnazione avverrà, di regola, in favore del genitore presso cui i minori avranno la residenza più stabile. La giurisprudenza afferma, inoltre, che il coniuge affidatario dei figli e assegnatario della casa di proprietà dell’altro coniuge, non deve pagare l’IMU che dovrà essere corrisposta,invece,dal genitore non affidatario dei figli, ma proprietario della casa familiare. Pertanto, l’affido condiviso costituisce la regola che, a volte, può essere modificata dal giudice con l’attribuzione dell’affidamento esclusivo in favore di un solo genitore. Questo avviene quando uno dei genitori viene escluso dal giudice, in tutto o in parte, dall’esercizio della responsabilità perché è scomparso, si sottrae ad ogni contatto con i figli, tiene sistematicamente una condotta ostruzionistica, non fornisce il contributo di mantenimento e comunque abbia tenuto un comportamento “dannoso” per il figlio. In questi casi, il genitore non affidatario deve comunque vigilare sulla condotta dell’altro genitore e può ricorrere al giudice laddove ravvisi un pregiudizio per il figlio. L’affidamento esclusivo ad un solo genitore si ha solo quando è provata l’inidoneità dell’altro coniuge, tanto da rendere l’affido condiviso nocivo per il minore. Anche per il genitore non affidatario, il tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui costui deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, oltre alle modalità di esercizio dei suoi diritti verso la prole. Il genitore affidatario ha l’esercizio esclusivo della responsabilità sul minore, nel rispetto delle condizioni dettate dal tribunale. Generalmente, il genitore non affidatario non ha il diritto di intervenire sulle spese straordinarie, a meno che riguardino questioni di particolare interesse. Nel caso in cui entrambi i genitori siano considerati inidonei per l’affidamento condiviso od esclusivo o lo rifiutino, è previsto l’affidamento del minore a terzi, (ad esempio il Comune di appartenenza), in assenza di una norma di legge specifica.
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