L’autotutela, in ambito tributario, indica la potestà riconosciuta all’Amministrazione finanziaria di intervenire, d’ufficio o su istanza di parte, laddove abbia commesso un errore lesivo dei diritti del destinatario. E’ quindi una forma di autodifesa per il cittadino/contribuente, attraverso cui rendere noti gli eventuali errori compiuti dalla citata Amministrazione e quindi chiedere alla medesima la modifica o l’annullamento dei provvedimenti precedentemente emessi, che potrebbero ingiustamente danneggiarlo.
In caso di “autoaccertamento” l’autotutela si configura anche come potere di revoca e di rinuncia all'imposizione fino a comprendere anche il potere di sospendere gli effetti dell'atto che risulti infondato o illegittimo.
Il potere di autotutela appartiene all'Ufficio competente territorialmente per gli accertamenti d’ufficio, che ha emanato l'atto infondato o illegittimo e può essere esercitato, su iniziativa dell'ufficio stesso oppure su istanza del cittadino, prima o dopo che l'atto sia divenuto definitivo, ma non può essere rivolto ad un vizio dichiarato insussistente con sentenza passata in giudicato.
L’autotutela tributaria oltre che dal principio di legalità, è disciplinata dall'art. 2 - quater del Decreto legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito nella Legge 30 novembre 1994 n. 656 e dal Decreto n. 37 dell’ 11.02.1997 del Ministero delle Finanze, il quale stabilisce che l'autotutela fiscale può essere esercitata per varie ragioni e che l'annullamento può avvenire per vizi formali e/o sostanziali.
L’Amministrazione può ricorrere all’autotutela nei casi in cui:
Sono atti oggetto di autotutela:
Ogni atto dell'Amministrazione finanziaria può essere annullato o per iniziativa della stessa Autorità o per “istanza di autotutela” (e cioè per espressa richiesta del contribuente), la quale, pena la maggiore difficoltà o addirittura l’impossibilità nella revisione dell’atto, deve necessariamente indicare :
Tuttavia la presentazione dell'istanza non determina l'automatica sospensione dei termini per la presentazione del ricorso alla Commissione Tributaria ed infatti, è consigliabile instaurare un rapporto di collaborazione e fiducia con l'Ufficio, prima di presentare il reclamo o la mediazione (il ricorso) previsti dal Decreto n. 546 del 1992, per non incorrere nella scadenza dei termini. Inoltre potrebbe sortire efficacia anche sollecitare il reparto a cui è stata assegnata l'istanza.
Con l’ordinanza n. 1803 del 23 gennaio 2019, la Cassazione ha ulteriormente confermato l’inammissibilità del ricorso sul diniego di autotutela : ovvero non può essere impugnato il diniego di un’istanza di autotutela poiché esso costituisce un atto confermativo di un precedente provvedimento, invece il sindacato giurisdizionale può estendersi solo ed esclusivamente al profilo di illegittimità del rifiuto da parte dell’Amministrazione. Diversamente si verificherebbe un’interferenza del giudice nell’attività amministrativa o, peggio ancora, l’instaurarsi di una controversia sulla legittimità di un atto impositivo definitivo.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 22564/2004 ha ulteriormente sancito che presupposto di ammissibilità del ricorso alle Commissioni Tributarie è l'impugnazione di uno degli atti tassativamente elencati dall'articolo 19 del Decreto n. 546/1992, è pertanto inammissibile - per mancanza del presupposto processuale -, il ricorso contro un atto che non rientri tra quelli previsti dall’art. 19 del sopracitato decreto.
Non può essere presentato ricorso davanti al giudice tributario, avverso il provvedimento di autotutela con cui l’Amministrazione, accogliendo solo in parte l’istanza del contribuente, procede alla rettifica parziale di un precedente atto di rimborso di somme dovute al contribuente stesso, in questo caso, infatti, sarebbe negato il diritto agli interessi anatocistici (interessi sugli interessi già maturati).
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