STALKING CONDOMINIALE

In crescente aumento è la fattispecie dello stalking condominiale, che si verifica quando gli atti persecutori sono diretti ai vicini di casa.

Tale reato, non ancora codificato dal legislatore, per ora costituisce solo il risultato di applicazione giurisprudenziale. Con la sentenza n.20895 del 25/05/2011 la Cassazione ha esteso l’applicazione dell’art. 612 bis c.p. anche ai condomini introducendo appunto, lo stalking condominiale che comprende non semplici liti di condominio, ma veri e propri atti persecutori che condizionano negativamente la vita della persona offesa.  

CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N.20895/2011 : IL REATO DI VIOLENZA PRIVATA (art.610 c.p.) NON RESTA ASSORBITO NEL REATO DI STALKING (art.612 bis c.p.),pertanto, possono essere contestati in concorso tra loro.

Nel caso in oggetto un condomino aveva posto in essere pedinamenti, insulti e minacce, anche di morte, nei confronti di alcune donne del suo palazzo, provocando ansia e spavento in tutte le altre donne dello stabile. Il molestatore è stato condannato per il reato di stalking nei confronti dell’intero genere femminile residente nel condominio in questione. Questa sentenza ha introdotto un’estensione dell’oggetto di tutela del reato di stalking che prima era limitato soltanto alla sfera affettiva.

Successivamente, con la sentenza n. 26878 del 2016, la Suprema Corte ha ribadito che, commette reato di stalking condominiale il soggetto che esercita un comportamento esasperante nei confronti dei condomini tale da generare un perdurante stato di ansia che costringa la vittima a modificare le proprie abitudini di vita. Pertanto sono stati ulteriormente definiti i contorni dello stalking di vicinato riconoscendo la credibilità di fatto del querelante, laddove non siano emersi “intenti calunniatori o contrasti economici”.

Risale all’8 giugno 2020 la sentenza n. 17346, con la quale la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dai due coniugi, accusati di stalking (ex art.612 bis c.p.) nei confronti di un vicino di casa, il quale, vivendo in un perenne stato di ansia a causa delle loro continue molestie e intimidazioni aggravate anche da un tentativo di investirlo, si era rivolto ad un detective per riuscire a dimostrare in giudizio le vessazioni subite per quasi due anni. Tali riprese avevano “inchiodato” i due persecutori, che si erano rivolti alla Cassazione affermando che era stato violato l’art. 615 bis c.p., in quanto le videocamere erano state illegalmente installate all’interno della loro casa per riprendere la loro vita privata. Ma la Suprema Corte ha ritenuto che non ricorre il reato di “Interferenze illecite nella vita privata (ex art. 615-bis cod. pen.), se l’utilizzo di apparecchi di videosorveglianza abbia lo scopo di filmare quello che succede in spazi pubblici, luoghi aperti o esposti al pubblico, ovvero che, pur di pertinenza di una privata dimora, siano di fatto soggetti alla vista degli estranei. Pertanto, nel caso in esame, ha ritenuto utilizzabili le riprese fatte dal condomino allo scopo di immortalare i comportamenti dei vicini, confermando quanto aveva già affermato con sentenza n. 26795/2006 : è legittima l’acquisizione processuale dei filmati in luoghi pubblici ovvero aperti/esposti al pubblico, realizzati come “documenti” ex art. 234 c.p.p. (Prova documentale). Premesso ciò, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso confermando la condanna per stalking ex art.612 bis c.p. alla coppia di vicini. 

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Avv. Stefania Zarba Meli

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